Dare un lavoro a chi non ce l’ha. L’umanità passa anche da questo

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Chi non lavora non fa l’amore, dice una celebre canzone, ma non si può nemmeno vivere. Il lavoro porta quei soldi che servono a pagare l’affitto, le bollette, a comprare qualcosa da mangiare, acquistare le scarpe o un capo di abbigliamento per sé ed i propri figli. Tanto per citare le esigenze primarie. Il lavoro serve anche a dare dignità, autostima, a sentirsi utili per sé e la società, a crearsi un futuro. Contribuisce a fare stare bene.

Ma se questo è un problema per gli italiani, le difficoltà sono ancora maggiori, e di molto, per i migranti, spesso utilizzati in nero, quasi sempre discriminati e mal pagati. O pagati per molte meno ore di quelle che fanno. Come si fa, quindi, a dargli un lavoro e possibilmente con un minimo di dignità? E’ una domanda difficile a cui nemmeno noi in questo momento troviamo una risposta esaustiva. Se qualcuno ha un’idea in merito ce la faccia conoscere e saremo felici di accoglierla. E soprattutto se ha la possibilità di dare un’occupazione, sarebbe un gesto encomiabile e di grande umanità.

Si potrebbe pensare anche a delle assunzioni in piccole quote da parte di aziende appartenenti ad associazioni imprenditoriali che, con spirito di solidarietà verso i più deboli, assumano uno o due migranti ogni dieci. Oppure a delle forme di autoimprenditorialità sostenute dal pubblico, con leggi o bandi, o da
privati.

Ci penseremo. Non ci arrendiamo. Sappiamo che è difficile, ma ci proviamo, sperando di trovare persone sensibili e di cuore, le occasioni e le idee giuste per dare risposte anche a questo problema.

 

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