“Lager libici come i campi di concentramento di Auschwitz. Anzi peggio”, dice l’arcivescovo Corrado Lorefice nel corso della presentazione del report della Fondazione Migrantes che si riferisce al 2023 e che ha come titolo “Liberi di scegliere se migrare o restare”. Un dettagliato rapporto di quattrocento pagine ricco di dati, analisi, considerazioni, commenti e proposte di soluzioni, una fotografia del fenomeno migratorio visto nella sua reale situazione e “non in quella che ci viene proposta dai mezzi di informazioni pilotati”.
E come se la storia non ci avesse insegnato nulla. “Allora – aggiunge Lorefice – molti non conoscevano le atrocità subite dai deportati che vennero alla luce del sole quando si aprirono i cancelli di quell’inferno, mentre quello che accade oggi è sotto gli occhi di tutti. Tutti vedono e tutti sanno, ma nessuno fa qualcosa per impedire violenze, torture e morte di innocenti che non hanno nessuna colpa, se non quella di voler raggiungere un altro posto dove vivere. Eppure si tratta di persone come noi, con le nostre stesse aspirazioni, i nostri stessi sogni, la nostra stessa voglia di vivere, di cercare una vita migliore”.
Tutto avviene anche con la complicità di alti livelli istituzionali “perché i nostri governi, non solo quello in carica, ma anche i precedenti – prosegue l’arcivescovo – sostengono i respingimenti della Guardia costiera libica verso questi lager dove i migranti vengono privati della libertà e sottoposti ad atroci sofferenze”.
“Non si capisce perché – prosegue Lorefice – ognuno di noi è libero di andare dove vuole mentre ai migranti viene negato il diritto alla mobilità, di andare dove vogliono”. Sia l’Europa che l’Italia sono impegnati (tutti i provvedimenti presi vanno in questa direzione) a negare o limitare questo diritto, come anche il diritto di asilo ed il rilascio dei permessi di soggiorno.
Eppure dei migranti c’è bisogno innanzi tutto come forza lavoro nelle campagne, nell’industria, nei servizi assistenziali alla persona. I migranti diventano un problema se si lasciano senza documenti, senza una vera politica di accoglienza e integrazione. Sarebbero invece una risorsa se tutto questo non accadesse.
Il rapporto Migrantes, nonostante questi ostacoli, ci dice che nel mondo ci sono circa 114 milioni di persone in fuga dai loro paesi di origine. Scappano da guerre, conflitti tra bande, estrema povertà, persecuzioni religiose e politiche, schiavitù (sono interessati 50 milioni di persone), fame e carestie, dalla pena di morte (883 esecuzioni nel 2022 in venti Paesi, più 53% rispetto all’anno precedente), dalle violenze di genere, soprattutto nei confronti degli omosessuali, dai cambiamenti climatici che provocano alluvioni, siccità, mancanza di acqua e desertificazione, dalla mancanza di terra accaparrata da multinazionali straniere che dispongono di grandi capitali, dall’assenza o pessima assistenza sanitaria. Oppure semplicemente perché in cerca di una vita migliore.
Come si può dinanzi a questa situazione chiudere gli occhi, alzare muri e chiudere i porti invece di costruire ponti? Come si può restare inermi dinanzi alle atroci sofferenze di chi arriva in Europa tramite la rotta balcanica o attraverso il Mediterraneo, dove dal 2013 ad oggi sono morti oltre 28 mila persone: uomini, donne, minorenni e bambini, molti dei quali senza una degna sepoltura?
Le immagini che ci mandano sempre più spesso i telegiornali, magari mentre siamo seduti a tavola, di disperati che affogano in acqua ormai passano come una notizia qualsiasi. “Ci lasciano – dice l’arcivescovo – indifferenti, non reagiamo più, non abbiamo più la capacita di indignarci, di piangere. Siamo diventati insensibili perché viviamo in una bolla di sapone, abbiamo perso il senso di umanità, siamo solo concentrati sul nostro benessere. Eppure il vangelo ci richiama sempre alla solidarietà, all’accoglienza, ad aiutare i nostri fratelli più deboli e in difficoltà perché sono sangue del nostro sangue e di quello di Cristo”. E ci dice anche che “del nostro comportamento tutti (cristiani, atei, persone di buona volontà, chiunque) risponderemo dinanzi a Dio e al Tribunale della storia”.
“Tra questa globalizzazione dell’indifferenza – conclude Lorefice – ci sono anche persone, le Ong che sfidano le leggi per andare in mare e pescare persone. Salvare vite è diventato come un crimine. Li chiamano commercianti di essere umani, ma io li ringrazio per quello che fanno, tutti dovremmo ringraziarli”.